Le società di fatto: storia e principi

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In diritto commerciale, le società di fatto sono definite come società che esercitano attività commerciale, pur non essendo state costituite secondo le modalità previste dalla legge, e pur non essendo registrate nel registro delle imprese. La nascita di questa forma di società non è nota con precisione; in ogni caso, non si tratta più di una forma societaria che può essere liberamente scelta da un imprenditore, quanto piuttosto di un’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, ai fini di trattare casi in cui l’impresa esiste, pur non essendo mai stata costituita secondo le forme previste dalla legge e non essendo stata registrata.

Le società di fatto sono diverse dalle cosiddette società irregolari, seppur simili. Le società di fatto non sono né formate secondo le formalità della legge, né iscritte nel registro delle imprese; le società irregolari, invece, sono state costituite secondo le forme e le procedure previste dal Codice civile (con atto costitutivo scritto e depositato), ma non sono state in seguito iscritte nel registro delle imprese.

Cenni storici

Quando si parla di società di fatto, non si può non cominciare dal cosiddetto Code Savary (1673), della Francia colbertiana. In questo era prescritto che una società potesse formarsi solo per iscritto o tramite un notaio. In tale situazione, tutti gli atti che un’eventuale società di fatto avesse firmato, inclusi i contratti e i prestiti, sia tra i soci sia nei confronti dei terzi, venivano dichiarati nulli. (D’Alcontres, pagg. 23-24). La prima comparsa del concetto di società di fatto lo si ha presumibilmente nella Francia a cavallo tra Settecento e Ottocento, come elaborazione della giurisprudenza per trattare i casi non rispondenti al Codice del commercio francese del 1807 (cioè di mancata costituzione di società); verrà chiamata société de fait oppure société créée de fait, con diversi significati (in diritto francese si distingue tra société de fait e société créée de fait) tradotta poi in italiano come società di fatto. In particolare cominciò a sentirsi la necessità di non rendere nullo tutto ciò che una società di fatto aveva concluso, ma fare in modo da “salvare” i contratti e i rapporti commerciali intercorsi. Il Codice civile napoleonico (1804), che è stato il primo codice civile della storia, non prevedeva che le società di fatto si potessero costituire; era, però, prescritto, all’articolo 1834, che le società dovessero essere costituite per iscritto qualora il valore del loro oggetto superasse la somma di 150 franchi.

In Italia, una delle prime volte in cui compare il concetto di società di fatto è nell’opera Filosofia del diritto (1843) di Antonio Rosmini-Serbati (pagg. 520-522), forse derivata dalla traduzione delle opere di Raymond-Theodore Troplong, consigliere della Corte di cassazione di Francia.

Neanche in Italia la società di fatto è mai stata citata o definita nei vari codici civili; non viene menzionata né nel Codice civile italiano vigente e risalente al 1942, né nel precedente Codice civile italiano del 1865, e neanche nel Codice del commercio del 1882. In particolare, l’articolo 87 del Codice del commercio italiano del 1882 imponeva che “il contratto di società dev’essere fatto per iscritto”. Il Codice civile attualmente vigente, invece, impone che le società debbano essere costituite secondo le forme previste dalla legge, cioè un atto costitutivo (tranne che per la società semplice che però non può esercitare attività commerciale).

Principi

Le disposizioni appena citate del Codice civile sembrerebbero precludere la possibilità di formazione di una qualsiasi società di fatto, non essendo prevista dalla legge italiana. Inoltre, in occasione dell’entrata in vigore del Codice civile italiano (1942), le società di fatto allora esistenti avrebbero dovuto costituirsi in una delle forme societarie previste dalla legge entro il 31 dicembre 1942. Questo però non avvenne; anzi, continuarono a nascerne delle altre e continuano a nascerne ancora oggi soprattutto per via dei numerosi casi di successione di imprenditori individuali deceduti; la legge non dava (e non dà) nessun tipo di disposizioni su come comportarsi nei casi di decesso di imprenditore individuale e per questo la giurisprudenza non poté far altro che riesumare la società di fatto (Prosperetti, pagg. 26-27).

In particolare, la giurisprudenza ha rintracciato (con una certa stortura, a mio avviso) negli articoli 2293 e 2297 c.c. degli indizi che facessero pensare che il legislatore prevedesse la possibilità che le società di fatto potessero formarsi:

Art. 2293, La società in nome collettivo è regolata dalle norme di questo capo e, in quanto queste non dispongano, dalle norme del capo precedente [società semplice].

Art. 2297, comma 1: Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, i rapporti tra la società e i terzi ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice.

La società di fatto esercita attività commerciale a tutti gli effetti, e pertanto valgono tutte le leggi relative all’attività di impresa. Inoltre, considerato il particolare vincolo di fiducia tra i soci della società di fatto, la giurisprudenza le ha spesso assimilate a società in nome collettivo irregolari (in attesa di regolarizzazione). In aggiunta, anche gli articoli del Codice civile di cui sopra hanno indotto a concludere che le società di fatto non fossero altro che delle società in nome collettivo irregolari; per esse, però, a norma dell’art. 2293 c.c. valgono le disposizioni della società semplice (pur esercitando attività commerciale) (Prosperetti, pag. 27).

La giurisprudenza ha definito le società di fatto come regolate in parte dalle disposizioni sulla società semplice e in parte dalle disposizioni sulle società in nome collettivo. In particolare, nei rapporti tra la società e i terzi valgono le leggi sulla società semplice, mentre nei rapporti tra i soci valgono le leggi sulla società in nome collettivo (Prosperetti, pag. 36).

Mentre in passato si era un po’ più liberi di decidere se creare una società di fatto, oggi le società di fatto si formano in seguito a particolari situazioni in cui ci si trova, consciamente oppure inconsciamente. Decidere di creare una società di fatto come alternativa alle forme societarie previste dal codice civile oggi non è più consentito, in quanto ciò esporrebbe i soci a sanzioni di vario tipo, e sarebbe formalmente equivalente all’esercizio abusivo dell’attività imprenditoriale. Inoltre oggi, a differenza che in precedenza, sarebbe quasi impossibile per una società operare in un qualsiasi campo senza la registrazione al registro delle imprese, così come senza un numero di partita IVA, o un codice fiscale.

Aspetti di carattere generale

Come già detto, nei rapporti con i terzi si segue la normativa sulla società semplice, mentre nei rapporti interni tra i soci si segue la normativa sulle società in nome collettivo. In particolare, vige per le società di fatto l’art. 2301 del c.c. (relativo lle società in nome collettivo), il quale prescrive il cosiddetto “divieto di concorrenza”:

Art. 2301, Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente.

Il consenso si presume, se l’esercizio dell’attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza.

In caso d’inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva l’applicazione dell’articolo.

Successione di imprenditore individuale

Diversa è, invece, la situazione in cui i soci si trovano soci di fatto non per scelta, ma per una particolare situazione, quale la morte dell’imprenditore individuale. Gli eredi, in quel caso, si trovano a dover mandare avanti ciò che alla morte del de cuius è divenuta a tutti gli effetti una società di fatto e a dover portare a compimento i contratti stipulati in precedenza dall’imprenditore, che come noto non si estinguono automaticamente in causa di decesso dell’imprenditore (se non in casi particolari quali il fatto che si tratti di un piccolo imprenditore – art. 1330 c.c.).

In casi particolari come questo (specie se trattasi di imprenditori artigiani), spesso si riesce a ottenere anche la registrazione della società di fatto nel registro delle imprese come continuazione della ditta individuale (nonostante quanto prescritto dall’art. 3 della legge 947/1982), venendosi così a creare la situazione atipica di società di fatto non costituita ma registrata. Essa continua a mantenere il C.F. precedente, mentre viene assegnata una nuova partita IVA; è inoltre possibile effettuare la cosiddetta voltura delle SOA, in modo da poter continuare a operare; diversamente sarebbe quasi impossibile per un’impresa continuare, specie in settori come l’edilizia, laddove le registrazioni e le SOA sono di importanza fondamentale; settori come ad esempio quello bancario raramente consentono a una società di fatto di operare (principalmente a causa della totale assenza di pubblicità legale).

Una società di fatto nata per successione potrebbe essere ulteriormente complicata dalla presenza di eredi minorenni, i quali non è detto che entrino a far parte della società di fatto. In particolare, la sentenza della Cassazione n. 505 del 14 marzo 1949 ha decretato che, senza autorizzazione da parte del Tribunale, gli eredi minorenni non entrano a far parte della società di fatto insieme agli eredi maggiorenni, né direttamente, né attraverso i loro rappresentanti. La società di fatto, dovrà comunque essere gestita “nell’interesse di tutti gli eredi”. (Prosperetti, pag. 115).

Solitamente nelle fonti viene spesso citato il termine di un anno come tempo massimo per la regolarizzazione di società di fatto derivanti da successione ereditaria. In realtà non sembra esserci un vero e proprio obbligo quanto piuttosto una maggiorazione delle imposte di registro e catastali e una sanzione qualora si superi il termine di un anno (si vedano l’art. 10, comma 2 del Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 e l’art. 4 comma 1 lettera e) e la Nota II) delle Tariffe del Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131). Nel caso in cui una società di fatto dovesse trovarsi impossibilitata a operare (per esempio per problemi legati all’impossibilità di registrarsi nel registro delle imprese e quindi per la mancanza di pubblicità legale e non opponibilità a terzi), sarà sicuramente necessario avviare la regolarizzazione nel più breve tempo possibile.

Socio occulto

Una società di fatto non è registrata nel registro delle imprese e, analogamente alle società irregolari, non si esternalizza per mezzo della cosiddetta “pubblicità legale” (il registro delle imprese). Mancando del tutto una modalità per verificare la sua esistenza effettiva, una società di fatto che non è mai stata consapevolmente formata dai suoi soci potrebbe essere considerata tale per atti esteriori concludenti (il cosiddetto “principio dell’apparenza del diritto”); in altre parole, essa appare tale all’esterno, in particolare ai creditori, perché ad esempio, i soci agiscono insieme, si forniscono mutua assistenza e appaiono come un’unica entità. Una volta provata da un punto di vista legale l’esistenza di una società di fatto, valgono tutte le considerazioni fatte in precedenza. Proprio per via del “principio di apparenza del diritto”, potrebbe configurarsi l’esistenza di un “socio occulto” di cui si parlerà nei seguenti paragrafi (Prosperetti, pagg. 111-112).

Oltre alle successioni di imprenditori individuali, un altro caso frequente nel quale la giurisprudenza spesso usa il concetto di società di fatto è quello di “socio occulto”. Una qualsiasi persona che, consapevolmente o inconsapevolmente, si intromette negli affari di un’altra società di persone o impresa individuale impartendo degli ordini e fornendo supporto finanziario potrebbe essere in seguito chiamato dai creditori di quella società o impresa individuale a dover pagare i debiti della stessa.

La ratio della giurisprudenza è che chiunque si intrometta nella gestione di una società fornisce una maggiore garanzia di fronte ai creditori e, per questo, qualora i beni societari non fossero sufficienti a coprire i debiti, i creditori potrebbero rivelarsi sul patrimonio del socio occulto. (Prosperetti, pag. 116) È in ogni caso necessario provare l’esistenza di una società occulta, per esempio dimostrando che il presunto socio occulto ha impartito ordini e si è intromesso nella gestione (Prosperetti, pagg. 112-114); è inoltre necessario dimostrare la cosiddetta affectio societatis, cioè la reale volontà del presunto socio di unirsi in un’unica entità con l’imprenditore individuale o con i soci di una società di persone.

Dimostrare, invece, che un parente stretto sia un socio occulto, è un po’ più complicato, dal momento che è più difficile dimostrare la stessa affectio societatis, cioè il fatto che la direzione e il supporto fornito fossero solo aiuti tra parenti e non il desiderio di fondersi in un’unica entità con l’impresa individuale o la società.

Molte fonti distinguono tra “socio occulto” e “società occulta”; la distinzione consiste nel fatto che il “socio occulto” è il socio che si intromette in una società di persone già esistente, mentre il termine “società occulta” viene usato per indicare il caso in cui il socio occulto si intromette in un’impresa individuale, modificando così l’impresa individuale in una società di fatto (Prosperetti, pag. 114). In entrambi i casi, l’impresa o società esistono e sono regolarmente costituite e registrate (seppur in modo improprio). I casi in questione non sono a rigore proibiti dalla legge (Prosperetti, pag. 114), a meno che ciò non sia fatto in modo da eludere il fisco.

Svantaggi e rischi di una società di fatto

Si può senz’altro affermare che ritrovarsi in una società di fatto è sicuramente più svantaggioso di una delle forme societarie codificate dalla legge. Regolarizzare una società di fatto (e farlo in tempo brevi) è sicuramente vantaggioso. Gli svantaggi più comuni derivano sostanzialmente dalla mancanza di pubblicità legale e dal fatto che nei rapporti coi terzi valgono le disposizioni sulla società semplice. Di seguito sono esposti gli inconvenienti più comuni:

Creditori particolari del socio

Mentre nella società in nome collettivo, i creditori particolari del socio non possono richiedere la liquidazione delle quote societarie prima che la società sia sciolta, nelle società di fatto, il creditore particolare del socio “può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo”. Inoltre nelle società di fatto, se gli altri beni del debitore sono insufficienti a coprire il debito, il creditore particolare del socio può chiedere in ogni momento la liquidazione delle quote del debitore (artt. 2270 e 2305 del c.c.).

Creditori della società

Vi sono anche degli inconvenienti che riguardano i debiti contratti dalla società di fatto. In particolare, I creditori della società di fatto possono soddisfarsi, a norma dell’art. 2267 c.c. sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali, invece, “rispondono solidalmente e illimitatamente i soci”. I soci in questione, però, a norma dell’articolo 2268 c.c., possono richiedere la preventiva escussione del patrimonio sociale, ma devono indicare i beni coi quali i creditori della società possono soddisfarsi.

Anche in questo caso la società in nome collettivo risulta più vantaggiosa dal momento che i creditori della società non possono soddisfarsi sui beni dei singoli soci, se prima non hanno aggredito del tutto il patrimonio sociale (art. 2304 c.c.).

Insolvenza

In passato, l’art. 160 comma 1 della legge fallimentare prevedeva che, per essere ammessi al concordato preventivo o all’amministrazione controllata, uno dei requisiti essenziali era l’iscrizione al registro delle imprese da almeno un biennio o dall’inizio dell’attività. Pertanto, le società di fatto non erano ammesse, e la conseguenza dell’insolvenza era quasi sempre che i soci venivano dichiarati falliti, con tutto ciò che comportava (Prosperetti, pag. 124). Con le modifiche del 2006, l’art. 160 ha subito delle modifiche sostanziali e oggi sembra che le società di fatto possono essere ammesse alle procedure di cui sopra. Si tenga presente che entrerà presto in vigore anche il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14).

Impossibilità di operare

Mancando nelle società di fatto la pubblicità legale, spesso le banche, i debitori e molti di coloro con i quali si interagisce potrebbero rifiutarsi di sbloccare conti correnti o effettuare pagamenti, non riconoscendo (anche un po’ per ignoranza) la società di fatto come una reale società, considerato anche che in una sede di tribunale l’esistenza di una società di fatto va dimostrata. Queste difficoltà vengono superate qualora si riesca (e non sempre si riesce) a registrare la società di fatto nel registro delle imprese.

Riferimenti normativi

Essendo il concetto di società di fatto una mera elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, le fonti normative che la riguardano fanno riferimento unicamente alle imposte e agli aspetti fiscali:

Bibliografia

  • Guido Prosperetti, Le società di fatto. Casa Editrice Cetes, Milano, 1968.
  • Alberto Stagno D’Alcontres; Nicola De Luca, Le società. Tomo I. G. Giappicchelli, Torino,

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